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Rassegna stampa de "La spremuta"

Estratto dall'intervista a Beppe Casales di Raffaella Di Tizio e Francesca Romana Rietti apparsa su

L'indice dei libri del mese - Luglio/Agosto 2014  http://www.lindiceonline.com

 

Nel suo blog, Ascanio Celestini afferma di non credere all’esistenza di un “teatro civile” inteso come un vero e proprio genere nel quale si può ravvisare un impegno politico o una denuncia e che si contrappone e distingue dal resto del teatro. Cosa ne pensa in proposito, visto che i suoi spettacoli vengono spesso così definiti?

Un amico olandese, un romanziere, mi dice che il tipo di teatro che faccio io in Olanda non esiste perché daloro delle storie che io racconto si occupano i giornalisti. In realtà, non seguo una categoria di teatro, per me è necessario raccontare storie che mi piacciono e mi seducono. È un po’ come quando ci si innamora e si ha vogliadi dirlo a tutti, anche a rischio di essere molesti! E poi c’è la componente del piacere di raccontare, al maggior numero di persone, una storia che poche persone conoscono. Come per ogni tipo di teatro, per me, devono esserci dei protagonisti, degli antagonisti e un accadimento che abbia un inizio, una fine e uno sviluppo. Tuttavia, capisco che le definizioni servano al pubblico per orientarsi. La narrazione mi offre delle possibilità che mi interessa sperimentare e mi permette di far vedere agli spettatori tutto quello che voglio che vedano. Il racconto non ha limiti, ma ti obbliga a rispettare una condizione: riuscire a far vedere al pubblico le cose che vedi tu.

Cosa si auspica che, rispetto alla mole di informazioni provenienti dai media e dalle cronache sui migranti, La spremuta possa aggiungere?

Vorrei cercare di creare dei cortocircuiti negli spettatori, facendo incrociare dati e storie che difficilmente si intrecciano. Mi prendo il tempo per immergermi e abitare totalmente una o più storie, un tempo che normalmente le persone non si possono permettere. Vorrei condurre gli spettatori verso la mia immersione, vorrei che facessero il mio stesso viaggio. Come tutti quelli che fanno questo mestiere, vorrei che lo spettatore, dopo aver visto La spremuta, uscisse dal teatro diverso da come vi è entrato. 

 

 

 

L'articolo dulla rivolta di Rosarno uscito su doppiozero.com: http://www.doppiozero.com/materiali/rivolte/stop-killing-blacks

 

 

 

Premio LiNUTILE del Teatro – La Spremuta

"La Lega non è razzista, perché le razze umane non esistono."

di Alice Campagnaro

Beppe Casales racconta la storia di due vite molto differenti tra loro, che finiscono per incontrarsi durante la rivolta dei migranti a Rosarno, nel gennaio 2010. Uno spettacolo forte e caldo, sempre efficace e a tratti divertente, che in un’ora riesce a toccare temi importanti come la mano della ‘Ndrangheta in Calabria, le carceri in Libia dove i prigionieri vengono torturati, l’odio leghista e la negligenza dei giornalisti italiani.

Primo spettacolo della ressegna Premio LiNUTILE del Teatro, del Teatro de LiNUTILE

È l’8 gennaio del 2010. A Rosarno fa freddo, e c’è una rivolta in corso. Neri contro bianchi, come in una partita a scacchi giocata per rabbia e disperazione. In una strada semideserta, si incrociano gli sguardi di due giovani, nati entrambi nel 1980, ma con molte differenze: uno sradicato e vagabondo e l’altro profondamente radicato, uno prepotente e volitivo e l’altro piegato da anni di sofferenza e schiavitù. Antonio, bianco, criminale e intoccabile, e Daniel, nero, innocente e senza alcun diritto di esistere.

Quello che è successo prima, in Africa e in Italia, quei percorsi nello spazio e nel tempo che hanno portato a questo momento, il momento in cui Daniel e Antonio si guardano, e due carabinieri devono decidere da che parte starà questa volta la giustizia, è la sostanza del racconto di Beppe Casales. Il quale con una voce gentile dai molti accenti costruisce la narrazione, stende i fili delle esistenze, e infine li annoda in un unico intrico indissolubile e insolvibile, un concentrato di istinti, paure, sofferenze.

La voce calda e la gestualità a volte soffice, a volte esplicita fino alla crudezza, avvincono e inchiodano, tengono letteralmente con il fiato sospeso per tutta la durata dello spettacolo. I colori caldi del tavolo di legno e delle arance (i soli oggetti sulla scena insieme a uno spremiagrumi anch’esso giallo, un bicchiere e una bottiglietta d’acqua) consentono di concentrarsi sul fluire delle parole e di lasciarsi portare via.

Daniel Allen è un giovane nato in Nigeria, che insegue il sogno di andare a terminare l’Università in un Paese in cui le tasse costino meno che nel suo. Decide di andare in Italia perché qualcuno gli ha detto che gli Italiani sono gentili. Attraversa il deserto e la Libia e viene più volte arrestato e torturato, viene portato nella prigione di Mişrātah, infine riesce a imbarcarsi e giunge a Lampedusa, poi a Rosarno. Non sa quasi nulla dell’Italia, e nemmeno cosa sia la ‘Ndrangheta.

Antonio Bellocco è nato a Rosarno, figlio di ‘ndranghetisti, e mafioso a sua volta. L’Italia in quegli anni assiste al boom della Lega, che forte del consenso popolare alza i toni e si scaglia con violenza contro gli stranieri. (Ma la Lega, dice Casales, non è razzista, perché le razze umane non esistono.)Nel frattempo, a sud, le mafie controllano indisturbate il territorio: la storia più emblematica è quella, infinita, della costruzione dell’A3 Salerno-Reggio Calabria.

A Rosarno centinaia di stranieri come Daniel raccolgono le arance rosse. Gente che ha affrontato il dolore e la morte, che ha camminato sospesa sul limite per mesi, forse anni, prima di arrivare in Italia. Gente che ha dovuto compiere la scelta di salire su una barchetta fatiscente solo perché l’alternativa al Mediterraneo, una volta giunti alle sue coste, è il carcere libico o la morte nel deserto. Ora alcuni di loro sono qui, nel nostro sud, a raccogliere arance o pomodori in condizioni prossime alla schiavitù.

Nel 2008 a Rosarno nasce una manifestazione spontanea e pacifica. In seguito a questo, due giovani africani vengono uccisi per strada: è la rappresaglia della ‘Ndrangheta. E a quel punto si rompe qualcosa. La rabbia monta e dilaga, e gli stranieri tornano a riversarsi nelle strade, ma questa volta, armati, iniziano ad incendiare e spaccare. A loro volta, coloro che controllano il territorio escono dalle loro case armati. A questo punto, con l’incontro tra Daniel e Antonio, la storia si conclude.

Casales alterna con maestria drammaticità e momenti comici, a tratti misurando e a tratti esasperando i gesti e i toni. Il resoconto dei fatti è accurato e si basa su dettagli precisi, e mira a individuare le cause, le radici di ogni fatto. Come dichiara lo stesso Casales, la sua intenzione è seguire il solco tracciato da Marco Paolini, e infatti il suo è puro teatro di narrazione, in cui la costruzione del racconto e il ritmo della recitazione sono interamente affidati all’abilità dell’attore-autore. A partire dalla nascita di Daniel e Antonio, i fatti si concatenano e tutto sembra collegato: la costruzione della Salerno-Reggio Calabria, le prime elezioni in cui la Lega prende molti voti, i rapporti omertosi tra Italia e Libia al tempo di Gheddafi, le piccole vicende di razzismo che si manifestano nel nostro Paese.

Tutto precipita, necessariamente, verso la conclusione, ovvero il momento in cui Antonio e Daniel si fronteggiano pronti a colpirsi e forse uccidersi a vicenda. Tutto è legato dal filo rosso della spremuta di arance. Forse perché spremere delle arance con lo spremiagrumi è un gesto semplice, familiare e salutare, un gesto che esprime cura; perché dietro a questo gesto per noi semplice e familiare si nascondono storie complesse e lontane nel tempo e nello spazio, storie che noi non conosciamo perché chi ha il compito di informare non si prende la responsabilità di svelare i meccanismi veri e nefandi su cui si fonda il nostro Paese.

O forse, più semplicemente, la spremuta è il simbolo universale di un meccanismo che sembra sopraffare questi uomini, “spremuti” all’interno di qualcosa di incontrastabile e disumanizzante come la ‘Ndrangheta, l’odio immotivato, o il destino.

HTTP://WWW.CONALTRIMEZZI.COM/PREMIO-LINUTILE-DEL-TEATRO-LA-SPREMUTA/

 

 

 

RECENSIONE DI ANDREA POCOSGNICH DEL 17/05/2013 SUTEATROECRITICA.NET

La piccola platea ricavata nei locali del Rainbow è colma, qualche minuto dopo Beppe Casales inizia a spremere le sue arance; chi abbia letto la sinossi dello spettacolo è già costretto a fare i conti con una metafora che stringe lo stomaco, un gesto usuale che condensa uno dei tanti drammi italiani. È la schiavitù dei raccoglitori di arance in Calabria, evocata in un confronto tra la storia di due ragazzi: uno nasce in Liberia e l’altro a Rosarno, uno parte col sogno di studiare in Italia, l’altro ha cucito addosso sin da piccolo un destino da ‘ndranghetista. Nella Spremuta di Casales la forma si fa invisibile per far emergere il contenuto, alla tragedia dei fatti di Rosarno viene opposto un certo candore recitativo, una sincerità scevra di pietismi. E la realtà prende fuoco per autocombustione.

http://www.teatroecritica.net/2013/05/il-multiforme-panorama-teatrale-del-fringe-festival-torinese/

 

 

 

RECENSIONE DI MONICA BONETTO SU SISTEMATEATROTORINO

“La spremuta”, scritto e recitato da Beppe Casales. E’ puro teatro civile, ne ha l’impatto, la forza, la documentata, inattaccabile precisione nell’allineare fatti, antefatti, nomi e date. A tutto ciò si aggiunga la capacità affabulatoria dell’interprete, un impasto originale di eco paoliniane (nel senso di Marco) e di tempi comici rossiani (nel senso di Paolo) per narrare la rivolta che nel gennaio del 2010 infiammò Rosarno, in Calabria, ed ebbe per protagonisti i migranti che raccoglievano le arance. Una storia di razzismo, stupidità e mafia che non ha avuto gli onori del passaggio televisivo ma che li meriterebbe appieno.

http://comune.sistemateatrotorino.it/?p=4212

 

 

 

RECENSIONE DI ANDREA CIOMMIENTO DEL 18/05/2013 SU PAC

Scopriamo la freschezza dinamica de La spremuta di Beppe Casales. La narrazione inizia dal mercato delle “arance di Sicilia” e della loro parziale origine siciliana; il paradosso fa approdare in Calabria a Rosarno nei giorni della rivolta degli immigrati contro la ‘Ndrangheta e uno Stato inesistente. L’orazione civile è netta, incisiva e di sostanza, alleggerita dal ritmo e dalla qualità di sguardo dell’attore in scena.

http://paneacquaculture.net/2013/05/18/torino-fringe-festival-quando-unidea-nasce-storta/

 

 

 

RECENSIONE DI EMANUELA DAL POZZO DEL 18/03/2013 USCITA SU TRAIETTORIE.ORG

Mentre voci fuori campo commentano i fatti avvenuti a Rosarno il 7 gennaio 2010, l' unico attore in scena spreme delle arance. Così comincia lo spettacolo “La spremuta”, in scena il 15 marzo 2013 all'Arsenale, nella sede delTeatro Laboratorio di Verona, di e con Beppe Casales , nel quale le arance rappresentano il lavoro dei migranti di Rosarno e la spremuta simboleggia lo sfruttamento del loro lavoro e delle loro energie.

Casales è una piacevole sorpresa attoriale per quanti già non lo conoscono, sanguigna e passionale come raramente in Italia si vede, capace di coinvolgere il pubblico nel ribaltamento di tesi fondate su testimonianze distorte e sul dilagare ingiustificato e vergognoso di pregiudizi.Lo spettacolo ha da subito il sapore della denuncia/testimonianza e ribalta in modo documentato e circostanziato le reali motivazioni che hanno portato i migranti di Rosarno alla rivolta.Casales lo fa raccontando la storia di due coetanei, lì in quei giorni a Rosarno.Racconta il difficile e tormentato viaggio verso l'Europa di Daniel Allen, nigeriano, fino all'arrivo a Rosarno all'epoca dei fatti e i maltrattamenti, le umiliazioni, la riduzione in schiavitù che condivide con gli altri migranti , e la crescita di Antonio Bellocco, un figlio della 'ndrangheta, da sempre abituato ad usare le maniere forti per piegare gli altri al suo volere.Sono due vite parallele, a confronto, già in anticipo segnate dal destino, che solo alla fine quasi casualmente incontrandosi, entrano in collisione, senza modificare, pare, il corso “naturale” delle cose, che stabilisce già in anticipo chi è il buono e chi il cattivo.Emerge subito, dalle registrazioni televisive del tempo, dai commenti della gente e dalle interviste dei politici chi ha ragione e chi torto, nelle due famose giornate di rivolta del gennaio 2010 a Rosarno, nelle quali i migranti hanno preso spranghe e bastoni iniziando una rivoluzione civile. Nessuno dice e forse la popolazione non sa (o finge di non vedere) le condizioni disumane di vita in cui si trovano i manifestanti, arrivate al culmine con l'ennesimo omicidio gratuito, che quasi ogni anno avviene negli aranceti, durante la raccolta, insieme alle numerose gambizzazioni.Alla fine i migranti verranno mandati in altre zone, per non turbare l'ordine pubblico.Chiedo a Casales di dove sia originario, finito lo spettacolo.A parte la pregnanza dei contenuti che di per sé non possono lasciare indifferenti nella descrizione delle torture cui vengono sottoposte donne in cinta nelle prigioni libiche, piuttosto che famiglie intere sequestrate e stipate nei container per giorni a temperature impossibili, scontando l'unica colpa di avere creduto in un futuro migliore, sono colpita dalla sua capacità interpretativa. Mi dice con mio stupore che è padovano. Mentre penso che la sua carica mi ricorda il teatro sudamericano penso anche che siamo entrambi fortunati: siamo nati dalla parte “giusta”.... O no?Lo spettacolo “La spremuta” ha debuttato il 29 marzo 2011 al Teatro a l'Avogaria di Venezia e ora conta più di 60 repliche in tutto il territorio nazionale. E' patrocinato da Libera e da rete RADICI/ Rosarno e fa parte diTeatrocivilenetwork.

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